Mons Rumeo ad Avola per San Sebastiano: “la forza del vero Martirio”
«Se mi amate osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15). Con queste parole che Cristo rivolge ai suoi discepoli e oggi a noi, – ha detto il presule netino – desidero salutare tutti voi carissimi fratelli e sorelle, carissimo Parroco don Rosario Sultana, signor Sindaco e autorità civili e militari presenti; saluto voi che celebrate la festa di San Sebastiano con devozione e amore, in questo meraviglioso tempio della Chiesa Madre di Avola, casa del Signore, luogo di preghiera e spazio amorevole di vera fraternità.
Gesù non detta delle regole ma chiede, – a proseguito Mons Rumeo – con rispetto e pazienza, che se apriamo il nostro cuore a Lui possiamo accogliere i suoi insegnamenti e osservarli. La delicatezza e l’umiltà di Gesù si pone con un “se” libero e fiducioso che fa comprendere lo stile di Dio che si pone in attesa dell’uomo. Solo se ami osservi i comandamenti e impari a declinare nella tua vita i gesti di amore che sulle vie della Galilea hanno tracciato la misericordia di Dio nel cuore di tutti coloro che Gesù ha incontrato, toccato, guarito e sanato. Non si tratta di osservare parole scritte su tavole di pietra, ma di amare Colui che dona se stesso per noi realizzando il comandamento dell’amore sulla croce. Al di sopra tutto c’è l’amore. Al disopra anche delle leggi. Chi ama veramente va sempre aldilà delle piccolezze e delle meschinerie, perché ha un cuore grande e sa scrutare l’orizzonte. E chi ama sa anche affrontare le tempeste della vita con coraggio e forza sapendo di avere in Dio un’ancòra di salvezza! E il Crocifisso ci rivela la pienezza dell’amore. Sconfinato, eterno, infinito…materno! L’amore per Gesù fonda la vita dei discepoli in ogni tempo della storia cristiana e fa scaturire l’osservanza dei suoi comandamenti fino a dare la vita. In questa storia di amore per il Signore si inserisce la santità dell’alto
ufficiale dell’esercito imperiale romano Sebastiano, martire e testimone della fedeltà a Dio.
Dall’antica “Passio Sancti Sebastiani”, scritta presumibilmente da un giovane monaco romano verso la metà del quinto secolo, – come ha sottolineato egregiamente il Vescovo – si apprende che Sebastiano, aveva organizzato all’interno delle carceri un’intensa azione a sostegno fisico e spirituale dei cristiani, i quali, a motivo della loro fede, erano in attesa del martirio. A queste manifestazioni di carità esemplare che ridavano speranza e sollievo, Sebastiano aggiungeva una coraggiosa testimonianza di fede, che lo portava a svolgere una attenta e larga diffusione del messaggio cristiano presso i soldati, i magistrati e le famiglie nobili.
Un messaggio forte e incisivo come disse San Giovanni Paolo II: «Per questa sua obbedienza alla fede e ai comandamenti, San Sebastiano subì impavido il martirio, lasciando ai cristiani di tutti i tempi l’esempio luminoso della sua vita, animata da limpida lealtà alle autorità civili, ma altresì dalla chiara affermazione del primato di Dio su tutti i valori terreni» (Giovanni Paolo II, Omelia del 4 settembre 1983, Festa di San Sebastiano a Castel Gandolfo).
Carissimi fedeli e devoti, – ha sottolineato Mons Rumeo – con San Sebastiano ci troviamo dinnanzi ad una testimonianza preziosa di amore verso Dio fino a dare la vita. Sebastiano si spoglia di tutto per poter mostrare la verità dell’amore. Sebastiano mette Dio al primo posto, non uno fra tanti ma primo fra tutti. Ecco il forte significato delle vostre invocazioni Prima Diu e poi Sammastianu. Il primato dell’amore di Dio che rende luminosa la nostra fede. Come lui anche voi devoti, i nuri i sammastianu, vi spogliate delle vesti per mostrare che dinnanzi a Dio bisogna rivestirsi del candore bianco della santità e delle fasce rosse che indicano il martirio e il sacrificio che dobbiamo a Dio nella testimonianza della vita quotidiana, nella piccola e umile offerta della nostra vita alla causa del Vangelo. Siamo chiamati ad essere testimoni coraggiosi di un amore che salva e riporta l’uomo al bene, al bello e al giusto. Sant’Ambrogio nel commento ai Salmi esalta la figura del nostro santo: «È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio (At 14, 22). Se molte sono le persecuzioni, molti sono anche i riconoscimenti, e dove ci sono molte corone, è segno che vi sono altrettante lotte. Prendiamo l’esempio del martire Sebastiano. Egli nacque a Milano, dove il persecutore forse non era ancora venuto o si era allontanato o era piuttosto moderato. Sebastiano si accorse che qui il combattimento non ci sarebbe stato affatto o sarebbe stato fiacco. Partì quindi per Roma, dove infuriavano aspre persecuzioni contro la nostra fede. Ivi subì il martirio, cioè ebbe la sua corona. Così meritò il domicilio dell’eterna immortalità là dove era giunto come ospite». (S. Ambrogio, In psalmum CXVIII expositio, 20, 43-44: PL 15, 1947). La promessa del Paraclito che Gesù dona ai discepoli si realizza nella testimonianza dei santi che mostrano la presenza reale del Signore che guida la storia nonostante il male, che si fa consolatore con gli afflitti e difensore dei deboli. Anche noi, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, siamo destinatari del Paraclito, anche noi come i primi cristiani abbiamo ricevuto lo Spirito Santo che dobbiamo custodire in spirito e verità ( cf At 8,17).
Ogni cristiano è chiamato a ravvivare nel suo cuore il mistero della fede, – ha ribadito il Vescovo – così da arrivare a riconoscere in ogni evento della propria vita la presenza rassicurante di Cristo che, se ha sofferto fino a morire sulla Croce, ha poi trionfato definitivamente sulla morte e vive ora glorioso presso il Padre. L’apostolo Pietro, nella seconda lettura, raccomanda con ardore: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori” (1 Pt 3, 17). Ognuno di noi è chiamato a costruire come dal di dentro della propria esistenza l’atteggiamento fondamentale della fedeltà e del coraggio. È una costruzione che si opera progressivamente, nel profondo della nostra umanità, con la grazia di Dio e con scelte coerenti, agendo con perseveranza, affinando lo spirito nella fatica. Siamo chiamati ad organizzare in modo nuovo la vita intera, sulla base della docilità alla parola del Vangelo, che va accolta con rettitudine e con retta coscienza, affinché le scelte morali, personali e sociali, corrispondenti alla santità voluta dal Signore, costituiscano giorno dopo giorno il fondamento di una crescita fino «allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13).
Il Vescovo nella sua accorata omelia a voluto ricordare don Primo Mazzolari che diceva: «Ci impegniamo perché noi crediamo nell’Amore, la sola certezza che non teme confronti, la sola che basta per impegnarci perdutamente. L’impegno ci spinge più in là: verso Qualcuno che resti anche quando noi passiamo: verso Qualcuno che ci prenda in mano il nostro cuore se il cuore non regge al salire. Seguendolo, non sappiamo di preciso se lo raggiungeremo, né dove lo raggiungeremo: sappiamo solo di camminare sulle orme di colui che per avere preso impegno con la verità segnò di sangue il proprio sentiero. Sappiamo di non essere più soli, qualunque sia la nostra strada. Un cristiano, che non accetta il rischio di perdersi per mantenersi fedele a un impegno di salvezza, non è degno d’impegnarsi col Cristo.
A conclusione Mons Rumeo ha usato l’immagine delle frecce del martirio di San Sebastiano per affermare che, alle frecce dell’odio, rispondiamo con l’amore, dell’offesa, con il perdono, della discordia con l’unione, Alle frecce del dubbio resistiamo con la fede, dell’errore, con la verità, della disperazione, con la speranza. Alle frecce della tristezza, opponiamo la gioia, delle tenebre, la forza della luce. Allora così anche noi siamo pronti, come san Sebastiano, «a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi» (1 Pt 3,15).